Prigioniero ma non sconfitto. Vittima della criminalità, della burocrazia e dell’indifferenza eppure non piegato. Disperato tanto da giungere alla decisione di mettere in vendita sul web un rene per andare avanti ma non vinto . Una storia limite eppure fatta di vita vissuta. Di giorni di solitudine estrema, di ore passate a pensare ininterrottamente a come riuscire a vivere e guardare l’alba del giorno dopo. A respingere indietro i nemici nel buio. A tenere insieme i pezzi di una vita che si frantuma in continuazione, incollandoli con la dignità che mai gli è venuta meno. E’ la vicenda, triste, difficile, disperata, del ceramista siciliano Bennardo Mario Raimondi. Cinquantatrè anni, due figli adolescenti, una famiglia persa quasi completamente. L’ imprenditore ed artigiano palermitano che continua a lottare senza sosta per riuscire a recuperare un minimo di vita e scrivere la parola fine su una storia al limite della realtà. Una vicenda dai contorni dell’incubo che inizia nel 2003. All’epoca Bennardo era il titolare di un’azienda che dava lavoro ad otto dipendenti ed esportava i suoi prodotti all’estero. Poi la deriva, a causa dei troppi debiti. La china scivolosa ed inarrestabile. La chiusura della sua attività ed il licenziamento di tutti i dipendenti. Oppresso per anni dagli usurai, dall’impossibilità di uscire da quel lungo tunnel, perso nella vischiosità dell’ accesso al credito, decide alla fine di denunciare i suoi estorsori. “Anni di solitudine immensa – ricorda – si sono allontanati tutti, amici, parenti e clienti”. I criminali, per vendicarsi delle denunce subite gli sparano, gli mettono una bomba al locale . e così per lui e la sua famiglia inizia una vita di stenti. Perde tutto ma proprio tutto. Riesce, però, a far condannare i suoi estorsori e la Giustizia gli riconosce un risarcimento di 250mila euro. Non è ancora riuscito ad ottenerne neanche uno di quegli euro. Solo ventimila gli sono arrivati grazie al fondo vittime dell’usura ma li ha dovuti spendere per pagare bollette arretrate e per sopravvivere. Non ha potuto far ripartire la sua attività. Oggi vivono in sei grazie alla pensione del suocero : 840 euro mensili dei quali 650 se ne vanno per l’affitto. Il resto dovrebbe servire a mangiare, vestirsi e portare il figlio , affetto da una gravissima patologia all’intestino, frequentemente a Roma per le cure necessarie. Una famiglia di sei persone, Bennardo, la moglie, il figlio dodicenne, la figlia sedicenne, anche lei minacciata dalla criminalità e costretta a cambiare scuola, il suocero e la cognata che possono contare solo su centonovanta euro ogni trenta giorni per mettere in tavola un piatto di pasta. Una possibilità di sopravvivenza inesistente. Nel marzo del 2013 , Bennardo, allo stremo delle forze, ha tentato il suicidio. E’ stato salvato dai carabinieri. “Oggi non lo rifarei – dice – perché devo pensare alla mia famiglia”. Aiuti?”Nessuno – dice – Né da associazioni né da altri. Solo Papa Francesco, al quale ho scritto, mi ha regalato mille euro permettendomi di andare avanti per un pò. La cosa più importante non è stato il denaro del quale pure avevamo una estrema necessità ma il fatto che quel gesto mi ha fatto sentire meno solo” – E anche lì la burocrazia ha schiacciato sull’acceleratore. Dal Vaticano era arrivato un assegno ,appunto di mille euro. Bennardo però non ha un conto in banca e quindi non lo ha potuto incassare. Ha dovuto restituirlo e dal Vaticano è stato poi inviata la somma tramite vaglia postale.. “ Non so più a chi rivolgermi – si sfoga – tutti sono bravi a fare la solidarietà a chiacchiere”. Ha scritto una lettera aperta a tutte le istituzioni. Ha ricevuto aiuto una volta solo dal presidente della Regione Sicilia, Lombardo.e con quel denaro ho dovuto pagare il funerale di mia madre. Oggi, come ieri, va avanti giorno dopo giorno chiedendo praticamente la carità “ Si dice denunciate e non sarete soli – è il succo della lettera inviata da Bennardo – ma denunciare i mafiosi non è una convenienza, è un atto morale che tutti dobbiamo comprendere. Io ho denunciato, nel 2003, ed ho chiuso la mia attività con 8 dipendenti perché soffocato dai debiti con gli strozzini. Nel 2013 si è conclusa una parte del processo con la condanna di alcuni, ma nel frattempo ho perso tutto: casa , negozio messo all’asta e venduto, lavoro, clienti, parenti e amici . Sono ridotto all’elemosina e a mendicare davanti alle Chiese. Ecco come un artigiano finisce solo perché ha denunciato la mafia : si trova isolato da tutti ; tra le otto associazioni antiracket presenti a Palermo solo Solidaria per due volte mi ha commissionato dei manufatti in argilla. Io non voglio chiedere la carità, né chiedo denaro tranne quello a cui ho diritto – conclude – desidero soltanto lavorare”. Ha offerto di avviare dei corsi di ceramica da tenere nelle scuole, si è industriato sulla sua pagina facebook esponendo alcuni suoi bellissimi lavori e mettendoli in vendita a pochi euro. Sta facendo ogni sforzo per risalire la china dopo aver perso tutto tranne la dignità che sgorga da ogni parola e da ogni azione. Ciò che Bennardo chiede è solo un aiuto per uscire dall’isolamento e ricominciare con il suo lavoro.